sabato 1 agosto 2009

Tavolo di lavoro per fermare scavi petroliferi, chiesto incontro con Chiodi

TERAMO. L’Abruzzo del petrolio continua a mettere sull’allarme e a far parlare di sé.

A seguito di un precedente incontro promosso dal Comitato abruzzese per la difesa dei beni comuni, si è deciso di creare un tavolo di lavoro per approfondire ed affrontare “la deriva petrolifera dell’Abruzzo”.
Oggi lo sfruttamento petrolifero, secondo i dati raccolti dal tavolo di lavoro (che oltre al comitato e diverse associazioni, ospita anche istituzioni locali) coinvolge oltre il 50% del territorio regionale, con 221 comuni e l’80% della popolazione.
5.600 i kilometri quadri sfruttati in mare, 700 i pozzi già trivellati e diverse le piattaforme a mare che non rispettano la distanza minima dalla costa sono i numeri di uno sfruttamento di un petroli «amaro, molto simile al bitume», come lo descrive il tavolo di lavoro.
«Nonostante le rassicurazioni verbali delle istituzioni sul Centro oli di Ortona, i piani delle compagnie petrolifere vanno avanti in tutta la regione, ed anzi i nuovi permessi e gli ampliamenti dell’esistente evidenziano un’accelerazione delle operazioni».
Una ricerca del petrolio che continua impetuosa è anche l’immagine che si riceve contando le sole nuove concessioni.
Nell’affollato tratto di mare tra Ortona e Vasto, l’ultima richiesta è della Vega oil, in data 20 luglio, per un nuovo pozzo a 7km da Ortona. Nel frattempo la Edison chiede, senza incontrare difficoltà, di perforare 4 nuovi pozzi tra Vasto e Termoli a gennaio.
Nuove concessioni che si sommano a quelle della Medoil gas, che a partire dal 2010 lavorerà a pieno regime con la piattaforma “Ombrina mare 2” tra Ortona e San Vito a 5km dalla costa.
Anche la costa teramana avrà le sue piattaforme, come quella della Petroceltic a largo di Pineto. Risale invece al dicembre scorso l’autorizzazione ministeriale all’estrazione in terraferma nelle località fra Pineto, Atri e Città Sant’Angelo, in zona Colle San Giovanni, un’apprezzamento di circa 23km quadrati di competenza di Eni e Gas plus Italia.
Sempre in terraferma l’inizio del prossimo anno porterà all’avvio il permesso di ricerca a Civitaquana concesso a Vega oil e Petroceltic, interessando un’area di 615km quadrati compresa fra le province di Teramo, Pescara e Chieti, interessando persino parzialmente i Parchi nazionali del Gran sasso e della Majella.
Le concessioni per quanto riguarda la terraferma, al 31 gennaio scorso, riguardano i territori di Castel di Lama (79,9kmq), Filetto (50kmq), Miglianico (29,3kmq), San Basile (97,56kmq), Santa Maria Imbaro (99,51kmq), San Mauro (25,32kmq) ed il fiume Treste, nei pressi di Gissi e Cupello (109,6kmq).
Sono molto preoccupati gli operatori economici, soprattutto quelli interessati nelle attività di turismo, agricoltura e pesca. «Raffinerie e trivellazioni non sono compatibili con l’Abruzzo verde e con la produzione delle eccellenze agroalimentari e turistiche del marchio Abruzzo», denunciano i membri del tavolo di lavoro sulla petrolizzazione della Regione.
Le istituzioni e le associazioni che lo formano, ed altre che hanno già annunciato la loro partecipazione, per questi motivi chiederanno di incontrarsi con i vertici regionali, «per chiarire i reali intendimenti in merito al futuro della nostra Regione ed agli obiettivi di tutela dell’ambiente, dell’economia e della salute dei cittadini».
Ma, intanto che le associazioni aspettano la risposta alla richiesta di incontro, inviata al presidente Chiodi il 2 giugno scorso, le perforazioni continuano instancabili, ed apparentemente, inarrestabili.

fonte:
PrimaDaNoi.it

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